Chiedo silenzio alla platea di birilli. Per favore, non dondolatevela. Fermi così, non c'è nessuna palla con tre buchi a scrutarvi nel buio.
Rilassatevi. Siete qui per ascoltare la mia infanzia e osservare la mia adolescenza.
Sgabello, mi siedo, alzo il microfono e comincio.
Premessa e condizione necessaria: naqui.
Poi crebbi un po' e passai a piedi sopra un'infanzia carica di mezze e piene stagioni. C'era la grandine e la nebbia, ma anche la pioggerellina e gli arcobaleni. Qualche bar aveva ancora il JukeBox. Da da da la canson del campion. Andavo all'asilo e avevo la bavaglia con il simbolo del cucchiaio. Il mio pesce rosso si chiamava Cipì, mangiava mosche e soffriva di crisi di identità razziale. La mia macchinina preferita invece era il Generale Lì (capitemi, non conoscevo l'inglese). Tutto sommato ricordo solo due momenti drammatici:
PRIMO MOMENTO DRAMMATICO
Un pomeriggio di una stagione e tre quarti scorsi, fuori dalla finestra del quarto piano, un'aragosta di gomma arancio che volava come un colibrì. Corsi a dirlo a mia nonna, ma lei non mi credette. Poi mi diede pane e nutella e dimenticai per qualche giorno, ma la terrificante immagine dell'aragosta di gomma me la porterò fino alla tomba urlando "Crostaceo! Ahhh! Crostaceo!".
SECONDO MOMENTO DRAMMATICO
Mia nonna, sempre lei, mi servì sul piatto la parabola di quel bambino che, all'asilo, si chiuse il pisello nella lampo dei pantaloni. Il tutto condito da una morale: fai sempre pipì accompagnato che non si sa mai e vedi di tenerlo al sicuro che ti servirà. Mangiai con calma la storia, ma le parole mi rimasero sullo stomaco per i giorni a venire.
Il resto fu tutto boschi e capanne, vetroresina e maiali, funghi all'inchiostro e pecore a testate. Voi non capirete, io sì. Fa nulla.
Ed eccoci qua. L'adolescenza.
Se ripenso al tunnel post adolescenziale, collego tutto quanto dall'aragosta alla discesa in campo di berlusconi, riesco a dipingermi a china un quadro completo un po' bianco e un po' nero e un po' grigio, là dove ho sbavato con la mano. Ed è facile paragonare la mia invisibile adolescenza come il medioevo della mia storia personale. E' stato un po' buio, indeciso, costellato di mesi isolati che si facevano guerra tra loro. Dentro di me crescevano vassalli e valvassori e non sapevo più a chi far governare gli appezzamenti del cuore e a chi il latifondo del cervello.
Esattamente come il medioevo, qualche volta mi piace ripensare alla mia storia inserendo a forza un paio di "e se..." e qualche "ma...". Sono tutte ipotesi e personaggi fantastici, creature che non ho mai incotrato ma che, da testimonianze amanuensi riportate dagli instancabil monaci dell'ordine dei Cicciolini, porca vacca, ero sicuro che esistevano. Eccome.
Insomma, riassunto: qualche volta mi piace ricordare il mio medioevo come un fantasy.
Ma di magie non ce ne furono molte. E vi dirò, non ricordo nemmeno di avere scoperto l'America, nemmeno per sbaglio. Non ho circumnavigato un cazzo, nè ho mai scoperto l'aratro a vomere dissimmetrico e a versoio.
Ho semplicemente lasciato che passasse.
Poi è cambiato tutto.
Poi rinascimento.
Poi olè, fiiiii fiiii, spatash.
E oggi, che tornavo dal lavoro gridando "e il cielo è sempre più blu". Mi sono accorto che non mi ricordo bene i colori. A parte l'aragosta, d'accordo.
Il grembiule che slacciavo sempre a mia nonna era arancio e verde smorto?
La pioggia era così grigia?
Vestivo davvero di nero, con scarpe da tennis bianche?
Mi restano questi dubbi, lì a mazzi, in mezzo a campi di certezze. E' un po' come sognare, che non sai mai se hai veramente sentito le parole di quella ragazza, e se la torre che hai scalato era viola o trasparente.
Rivoglio i miei colori, cari i miei birilli. Me li avete rubati voi mentre parlavo? No? Sicuri? Potrei chiamare sul palco la palla con tre buchi che vi scruta nel buio, attenti.