Focaccia di città

Scelgo un giorno strano per tentare di riaccendere la grafomania perduta.
Oggi sono entrato in comunione con la città di Lecco.
Di solito non apprezzo le città. Le evito se posso e, quando invece mi ci trovo, al massimo le tollero.

Oggi no.

Oggi dovevo seguire un corso per acquisire i superpoteri di tutor aziendale e la frequenza è e sarà proprio a Lecco.
Non ho capito bene nemmeno io come ho fatto a connettermi alla mente della città. Ma so bene cosa ho percepito.
Prima di tutto la gente; tanti studenti, sbracati sui marciapiedi, seduti a tavolini di ferro colorato, o che si baciano appoggiati al muro della stazione.
Poi una sinestesia che ha mescolato la pelle della città, facendomi assaggiare insegne e cartelli e annusare le stradine del centro pedonale.

Ma non bastava, serviva un collante, qualcosa per saldare l’effimera convinzione che DAVVERO qualcosa stavo sperimentando.

L’ho trovato in un vicolo in salita, poco distante da una chiesa: una focacceria ligure. Sì perchè una città senza una focacceria ligure non la riesco più a concepire. Il formaggio fuso nella Recco della pausa pranzo si è amalgamato tra le sinapsi dei palazzi e i miei sensi. Ed è stato al primo morso che mi sono fermato, occhi sbarrati, conscio di vivere con la città.
“Ehilà, Lecco, come stai?”.
E via discorrendo.